Guida pratica per aspiranti game designer (parte sesta: il mondo di gioco)

Lo so, lo so, vorreste tuffarvi a capofitto nel capitolo dedicato al who, per definire chi sono i protagonisti del nostro gioco: narreremo le gesta di prodi guerrieri, di abili mercanti medievali, di pirati spaziali o di gattini pasticcioni? Prima di vedere chi saranno gli eroi all’interno del nostro progetto, però, preferirei parlarvi del where, ossia della parte del design che risponde alla domanda “dove si gioca?”, e che si spera che lo faccia dicendo qualcosa di diverso da “a casa di Daniel Craig”.

“Ma solo perché Daniel non sa perdere.”

In realtà, così come la domanda “perché si gioca?” racchiudeva in sé la necessità di definire almeno tre “scopi”, ossia lo scopo del gioco, lo scopo dei personaggi e lo scopo del design, anche on la domanda  “dove si gioca?” mira in realtà a definire due diversi “luoghi”, ben distinti concettualmente ma, come sempre, strettamente collegati ai fini della creazione del gioco: da un lato infatti questa domanda ci servirà a tratteggiare, descrivere e definire il “mondo di gioco” inteso a livello narrativo, come luogo immaginario in cui si svolgono le azioni all’interno del gioco, dall’altro sarà determinante nello stabilire la dimensione fisica dello spazio di gioco e dei suoi elementi costitutivi, a livello non solo di materiali, ma anche nella definizione di eventuali regole “spaziali”, come la divisione in caselle, la possibilità di movimento o di esplorazione, e via dicendo.

Come sempre, anche se parlo per “segmenti” concettuali, spesso quello che succede durante la progettazione è che il designer si trova a definire molti aspetti in contemporanea. In altri casi ha ben chiari alcuni elementi (per esempio, nel caso di un gioco di guerra, potrebbe aver già deciso a priori che si combatterà su una mappa esagonata) e deve definirne altri. Non esiste una regola precisa, e ovviamente non solo saranno le inclinazioni e le preferenze del progettista a stabilire quali “domande” saranno le prime ad avere una risposta, ma anche considerando il proprio gusto in fatto di design spesso succederà che giochi diversi richiedano “priorità” diverse (e qui solo la pratica potrà venirci in aiuto).

Dunque, siamo arrivati a scegliere un setting per il nostro gioco. A seconda del tema che avremo scelto all’inizio della fase di ideazione, ci troveremo a descrivere il mondo di gioco e andremo a definire come, fisicamente, i giocatori potranno interagire con esso: esplorarlo, modificarlo, o addirittura crearlo. Uno dei primi fattori da delineare è per l’appunto lo spazio di gioco, con le sue regole e i suoi limiti. Per esempio, anche se in Super Fantasy: la Notte dei Morti Male il setting è il mondo di Baruffus, durante il gioco si potranno esplorare solo i dintorni della città di Trista, la chiesa in rovina che ospita la tomba di Re Fendicrani e il cimitero che la circonda, con tutti i suoi edifici. Trattandosi di un hack ‘n’ slash, quando progettai il gioco decisi che la mappa sarebbe stata modulare, divisa in caselle quadrate (che ben si prestano al combattimento tattico) e ricca di elementi con cui far interagire fisicamente i personaggi [1]. Se avessi voluto creare un gioco adventure, incentrato sull’esplorazione di Baruffus, oppure un gioco di battaglie su larga scala, avrei optato per uno “spazio di gioco” più ampio, che comprendesse più città e più luoghi, magari su una mappa esagonata; se avessi preferito progettare un gioco in cui si ricostruisce la città dopo l’attacco dei Morti Male, avrei probabilmente usato una mappa della città con vari edifici su cui piazzare lavoratori per effettuare azioni “di gestione”, mentre se avessi voluto fare un gioco sugli intrighi della capitale forse non mi sarebbe neanche servito un tabellone: il gioco sarebbe stato ambientato nel palazzo dell’Imperatore e, più che la posizione spaziale fra personaggi e luoghi, mi sarebbe servito tener traccia delle posizioni “politiche” degli avatar dei giocatori e dei personaggi “non giocanti” (ossia quelli “controllati dal gioco”) all’interno del palazzo.

Questo, quindi, è il momento perfetto per definire il teatro delle nostre partite: giocheremo in una città composta da strade intricate, la cui mappa costituisce il tabellone principale, come in Letters from Whitechapel? O in un immaginario borgo medioevale rappresentato soltanto da carte, a ognuna delle quali è assegnato un luogo-chiave del borgo stesso, come in Citadels? O magari il piano di gioco è costituito direttamente dal tavolo, senza nessun tipo di tabellone, e i pezzi si muovono con l’ausilio di righelli come in Warhammer? O, magari, si spostano e combattono a colpi di “schicchere”, come in Warstones? Oppure ogni giocatore ha la sua plancetta-casa, e le pedine-gattino si spostano di plancia in plancia, come in Neko-In?

“Ora che ci penso, potremmo direttamente schiccherare gattini.”

Precisazione doverosa nel caso in cui il nostro progetto sia un gioco del tutto astratto: ovviamente, in questo caso, non avremo bisogno di pensare al tema del gioco, visto che esso è del tutto superfluo. Allo stesso tempo, però, la definizione dello spazio come elemento di gioco acquisterà probabilmente un’importanza ancora maggiore, dato che – sia che si tratti di un gioco di destrezza, sia che si tratti di un gioco di posizionamento o di scacchiera, il piano di gioco rivestirà probabilmente un ruolo fondamentale nell’esperienza di gioco. Se invece stiamo progettando un gioco astratto di dadi come Yahtzee o Perudo, ok, possiamo praticamente saltare questa parte del lavoro (anche se definire come sono disposte eventuali carte sul tavolo, o cosa succede se un dado cade a terra rimane comunque una buona idea). Se decidiamo, infine, di “vestire” il nostro astratto, pur non avendo la necessità di creare aderenza fra tema e meccaniche, è preferibile non andare troppo “a caso”, scegliendo un tema comunque abbastanza neutro: nessuno vuole comprare un gioco che ha in copertina spartani in armatura che combattono e dentro la scatola un dexterity game con pezzi in legno.

Dissonanza cognitiva over 9000

Definire sia tematicamente che meccanicamente il piano di gioco spesso richede molto tempo: se da un lato deve “richiamare” il tema ed essere coerente con l’ambientazione, dall’altro deve essere chiaro, in modo che elementi importanti che coinvolgono il gameplay siano individuabili rapidamente e siano immediatamente comprensibili.

Inoltre, giova ricordare che il tabellone è un elemento fondamentale dal punto di vista produttivo. Un tabellone “fisso” è sia costoso che ingombrante, e le sue dimensioni hanno spesso conseguenze dirette sulle dimensioni della scatola, che non solo è un altro fattore di costo, ma anche un elemento distintivo a livello di marketing. Per esempio, se state lavorando a un party game, che ipoteticamente dovrebbe occupare una fascia di prezzo bassa e stare in una scatola facilmente trasportabile, decidere che l’azione si svolga su un tabellone che piegato in quattro è più grande di un tavolo da cucina potrebbe essere una pessima idea. Le dimensioni del gioco “apparecchiato”, infatti, non solo influiscono sulle dimensioni della scatola e più in generale sul costo del gioco, ma anche sulla percezione dello stesso: i giochi più costosi, lunghi e impegnativi di solito occupano più spazio, non solo per esigenze di design ma anche per una questione di “palato del pubblico”. Non è una regola scritta nella pietra, ma è bene tenerne conto se vogliamo evitare eccessivi rimbalzi da parte degli editori.

“Materiali: dadi, pedine, piante carnivore, bombacee assortite, zebre, rinoceronti, leoni, elefanti e qualche altro animale a caso”

Non esiste una regola fissa: a seconda del target, del genere, delle meccaniche che abbiamo in mente dovremo scegliere attentamente gli elementi costitutivi dello spazio di gioco: che siano fissi o modulari, che vengano piazzati o modificati dai giocatori nel corso della partita, che siano in comune o di proprietà dei giocatori, andremo a progettare con cura ogni elemento che formerà lo spazio di gioco andrà a costituire il limite, sia fisico che concettuale, che andrà a racchiudere tutto il resto: le azioni, le interazioni e le scelte dei giocatori.

Come al solito, domande, suggerimenti e commenti sono più che apprezzati.

Tenetevi forte, perché nel prossimo capitolo analizzeremo il “who“: che ruolo hanno i giocatori?

[1] anche piccoli dettagli possono cambiare radicalmente l’esperienza di gioco: per esempio, in Super Fantasy: l’Assalto dei Brutti Musi le caratteristiche “tecniche” della mappa sono le stesse di quelle del sequel, ma mentre il primo gioco si svolge dentro un dungeon, fra corridoi stretti, trappole e baratri senza fondo, la Notte dei Morti Male si svolge all’aperto, fra tombe e rovine, cambiando radicalmente l’approccio che dovranno avere i giocatori nel gestire spazi, movimenti e attacchi nelle sequenze di combattimento.

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