Estetica Gioconda #4: la merda

Correva l’anno 1971, quando una specifica opera venne a dir poco massacrata dalla critica e dal pubblico. Addirittura, manco fosse la prima versione di Squillo di Immanuel Casto, l’opera in questione venne additata come oscena in un’interrogazione in Parlamento: il deputato democristiano Guido Bernardi, infatti, così la commentò: “anche se inscatolata a tutela dell’igiene pubblica e frutto obbligato di una normale digestione, quali garanzie ha il pubblico circa la sua autenticità?

Perché, in effetti, stava parlando di una serie di barattoli apparentemente riempiti a suon di cacate da Piero Manzoni: il titolo dell’opera è appunto Merda d’artista e, oggi, uno di questi vasetti può tranquillamente raggiungere il valore di 275 mila euro.

Piero Manzoni, Merde d’artiste, 1961 – scatoletta di latta, carta stampata (4,8×ø6 cm)

Mo’, abbiamo capito negli episodi precedenti che, se un artista caca in un vasetto, probabilmente non voleva solo trovare un modo particolarmente scomodo di evacuare, ma voleva dirci qualcosa. Nella fattispecie, voleva dirci una cosa che oggi ci appare quasi lampante, ma che all’epoca fu vista come una provocazione scurrile, che gli costò un’iniziale stroncatura da parte di… beh, quasi tutti. Il pubblico non capiva, la critica non apprezzava.

Quella che voleva proporci Manzoni è l’idea che, più che l’opera, è l’artista a essere “sacralizzato” e celebrato dal mercato. Per questo, anche le deiezioni di un artista diventano opera, assurgendo quasi al ruolo di moderna reliquia al pari dei vari prepuzi di santi sparsi per chiese e cattedrali di tutto il globo terracqueo. Riprendendo concetti già espressi in parte da Duchamps e dai suoi cessi ready-made, e adattandoli al contesto della sua epoca, Manzoni con i suoi barattoli parte dal paradosso delle reliquie (considerate “sacre” indipendentemente dalla verifica della loro autenticità, che è de facto impossibile oggi, figuriamoci allora), ma lo adatta ironicamente e metaforicamente al mondo dell’arte: il mercato artistico, secondo Manzoni, accetta un’opera sulla base dell’autore e non dell’opera in sé (sia essa o meno di qualità), ed è anzi pronto a considerare “opera d’arte” anche la merda, letteralmente, purché essa sia disponibile solo in edizione numerata e garantita nella sua autenticità ed esclusività. E le esclusive Kickstarter MUTE.

Marcel Duchamp, Fontana, 1917 – ready-made, ceramica (61×48×38)

Questo per dire che non è detto che di fronte a un’opera qualsiasi abbia “ragione” la critica, o il pubblico: potrebbero avere “torto” entrambe, e il senso e il valore di un’opera – per quanto apparentemente triviale, spiazzante o assurda sia l’opera stessa – potrebbe essere riconosciuta dalla storia dell’arte (e quindi da critico e pubblico di epoche successive) anche decenni dopo la sua realizzazione. Anche perché, come vedremo, critica e pubblico “ragionano” in modo diverso.

Nella schiera che unisce artisti le cui opere sono state stroncate da pubblico, critica o entrambe troviamo in ordine sparso Monet, i Led Zeppelin, Renoir, Hitchcock, Whitman, i Beatles, Fitzgerald, Nabokov e Van Gogh. E la lista potrebbe continuare. Al tempo stesso, però, un sacco di opere vengono – giustamente – apprezzate da parte di critica e pubblico, magari fin da subito.
Ma, quindi, come funziona ‘sta cosa di critica/pubblico/storia? Proviamo a capirlo insieme.

Il pubblico è l’attore dell’equazione più “facile” da spiegare, anche perché ne fa parte chiunque, inclusi voi e il sottoscritto. Il pubblico, che comprende chiunque indipendentemente dal suo livello di competenza artistica, mediamente apprezza (e compra) quello che rientra nei suoi gusti. Quello che il pubblico riesce a fruire dipende dalla disponibilità/accessibilità/notorietà delle opere, e qualora si parli di opere “acquistabili”, determina il successo commerciale o meno delle opere stesse. Non è detto che il pubblico ricerchi, capisca o apprezzi ogni aspetto di un’opera, semplicemente ogni persona tende a fruire delle opere che incontrano i suoi gusti estetici, quali che siano.

La critica, invece, è più “definita”, quantomeno a livello di intenzioni. Lo scopo della critica artistica è la valutazione e l’interpretazione delle opere d’arte (soprattuto quella contemporanee, altrimenti si parla di “storia dell’arte”) e l’esplorazione dei vari aspetti che le circondano: significati, tecniche, contesto sociale ed economico, nel tentativo di arrivare a una comprensione più accurata dell’arte stessa e del suo impatto culturale e sociale. Il ruolo della critica, inoltre, influenza indirettamente anche il pubblico, perché più la critica si interessa di un’opera/artista/genere/stile, più si parlerà di quell’argomento e più questo diventerà accessibile al pubblico stesso. Insomma: oltre al ruolo analitico, la critica tende ad avere un forte peso a livello divulgativo.
Questo ovviamente “nel migliore dei mondi possibili”: di fatto i critici sono comunque persone, e quindi possono sbagliare, essere vittime di bias, avere una formazione carente o essere banalmente persone di merda. Senza “d’artista”.

Se nella contemporaneità interviene spesso l’esigenza di sopravvivere, per cui ok l’arte, ma anche il mercato conta (se produco opere che nessuno espone, vede, ascolta e soprattutto compra, o mi trovo o un secondo lavoro oppure muoio di fame), nel corso del tempo può anche succedere che pubblico e critica coevi di un’opera vengano smentiti e contraddetti da pubblico e critica della (o delle) generazioni successive. Un’opera di successo può venir dimenticata, un flop clamoroso può diventare un cult, e così via. La cosa da ricordare è che il giudizio finale è quello della storia, e sarà lei a decretare vincitori e vinti.

Per esempio, quasi chiunque ha sentito nominare almeno una volta la Merda d’Artista, mentre l’onorevole Guido Bernardi non se lo ricorda praticamente nessuno.

Nel prossimo appuntamento, però, ci allontaniamo un po’ dalle metafore e dai significati nascosti delle opere, per parlare invece del concetto di tecnica. Avete presente quando pensate “ah, beh, ma questo saprei farlo anche io?”
Ecco, di solito non è vero, non sapremmo farlo anche noi. Ma per scoprire perché, dovrete aspettare il prossimo articolo di Estetica Gioconda.


PS: ma cosa c’è davvero nelle scatolette di Merda d’Artista? Agostino Bonalumi, amico di Piero Manzoni, disse che le scatole contenevano solo gesso. Cochi Ponzoni, il comico, anch’egli amico di Manzoni, sostiene che invece i barattoli contengono marmellata di arance. Bernard Bazile, artista francese, ha invece proprio aperto una delle scatolette. Dentro ci ha trovato un’altra scatoletta, che non ha mai aperto. Secondo me, se l’avesse aperta, avrebbe liberato il suo contenuto reale: la compiaciuta, divertita risata di Piero Manzoni.

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