Ogni volta che penso al gameplay emergente, però, non posso fare a meno di sogghignare ricordando l’episodio conosciuto nel mondo videoludico col nome di “incidente del corrupted blood” in World of Warcraft.
Il 13 settembre 2005, in seguito all’introduzione del raid Zul’Gurub e del suo boss Hakkar, infatti, si scatenò un’epidemia virtuale che devastò l’universo di Warcraft per una settimana. Hakkar, infatti, aveva un potere particolare (chiamato appunto Corrupted Blood) che assegnava ai bersagli un debuff che ne diminuiva i punti vita e che era pensato per “trasmettersi” ai giocatori ancora sani più vicini. Ovviamente l’effetto era stato pensato per avere una durata breve e un effetto limitato all’area del raid. Purtroppo, probabilmente a causa di un bug, il debuff aveva un problema: se contagiava i pet (compagni animali e i famigli) dei giocatori e i giocatori richiamavano (ossia “de-evocavano”) i pet stessi mentre erano infetti, il sangue corrotto si ripresentava quando questi venivano rievocati. In questo modo il “virus”, che era pensato per danneggiare pesantemente giocatori di livello molto alto (adatti a partecipare al raid in questione) riuscì a uscire dall’area del raid, uccidendo rapidamente e senza pietà i giocatori di livello più basso e danneggiando considerevolmente quelli di livello più alto sparsi per il mondo. L’esperienza di gioco nel periodo successivo al contagio e prima che gli sviluppatori ci mettessero un’enorme pezza influenzò enormemente l’esperienza di gioco di tutti, con i programmatori che tentavano senza successo di imporre la quarantena per limitare la diffusione, e provare a “esaurirla” in modo naturale. Non funzionò e, come ho detto, fu necessario un reset dei server e l’applicazione di una patch specifica. Uno dei motivi del fallimento della quarantena fu che, di fronte a questa novità, molti giocatori non solo la ignorarono, ma anzi agirono attivamente come “untori” infettando i propri pet e portandoli a spasso nelle città più popolate (e i no-vax muti!).
Questo caso, unico nel suo genere, è un esempio di come le azioni dei giocatori possano portare a situazioni non solo bizzarre, ma anche non previste neanche dai game designer o dagli sviluppatori, perché magari non sono emerse durante i playtest con altri giocatori. Per spiegare meglio la cosa, farò un altro esempio: tre anni dopo, nell’ottobre del 2008, gli sviluppatori inserirono un’altra “malattia” nel gioco, un contagio zombi, per una settimana. A differenza del Corrupted Blood, però, questa epidemia venne stata causata intenzionalmente ed era assolutamente calcolata: il rischio di trasmissione era minore rispetto al Corrupted Blood (con cui un giocatore veniva contagiato al 100% se veniva in contatto con un infetto), i pet erano immuni e l’infezione era curabile da personaggi non giocanti sparsi per il mondo di gioco. In questo caso, pur presentando elementi di gameplay emergente (come è normale che sia in molti MMORPG) gli sviluppatori avevano la situazione saldamente sotto controllo (e grazie al cazzo, l’epidemia l’avevano scatenata loro).
La pandemia virtuale generata dal Sangue Corrotto e le diverse reazioni dei giocatori hanno attirato l’interesse sia di epidemiologisti, interessati al meccanismo di contagio, sia dei servizi di intelligence e di anti-terrorismo, per capire come prevenire disastri simili nel mondo reale.
Spero che l’aneddoto vi abbia incuriositi, perché come preannunciato parlerò di questo (e di molto altro) in quel di Lucca Games, nel seminario “breve guida pratica per aspiranti game designer”, sabato 3 novembre alle 11:30 in sala 13 a Villa Gioiosa.
Come progettare un gioco con molte espansioni in programma, invece, sarà l’oggetto del seminario “giochi nati per crescere”, che si terrà domenica 4 novembre alle ore 9:00, sempre a Villa Gioiosa (sala 2).
Trovate un riepilogo degli incontri, organizzati con Lucca Educational, sulla mia pagina sul sito di Lucca Comics e Games.
Io sarò in fiera tutti e cinque i giorni… e voi?
Haha!!! Bel bacherozzo!
Da programmatore mi sembra più un problema di evolutiva del software gestita un po’ “a cazzo”, senza direttive dettate bene dai designers e analisti verso i programmatori… Comunque bell’esperimento sociale…